L’altro giorno, parlando con un manager di un’azienda che sto seguendo per il passaggio generazionale, è emersa l’esigenza di misurare la produttività dei dipendenti.
“Come sarebbe?” chiedo.
“Sarebbe se e quanto i miei dipendenti sono produttivi” mi risponde il mio interlocutore. “Abbiamo dei parametri, ma non bastano. La produttività è molto volatile, servono criteri di controllo più stretti.”
I KPI e la produttività dei dipendenti
Come si costruiscono KPI efficaci, che siano significativi e soprattutto non siano visti in modo negativo da chi poi li dovrà utilizzare? Ricordiamo il famoso proverbio: “Dimmi come mi misuri e ti dirò come mi comporto”. Ovviamente se mi darai indicatori stupidi, non meravigliarti se mi comporterò in modo altrettanto stupido. Ho già parlato di questo argomento e sapete che, al di là di elementi strettamente necessari legati al bilancio aziendale, io evito i KPI come la peste, perché spesso sono imposti anziché condivisi e sono creati per mettere pressione sempre maggiore a chi deve risponderne.
In alternativa propongo un modo per misurare la felicità dei tuoi dipendenti.
Come misurare la felicità dei tuoi dipendenti
Ahhhh la felicità? Ecco che all’orizzonte appaiono gli eserciti che combattono contro la moda, purtroppo reale, della “fake positivity” e dello “stay positive and feel the good vibes”a tutti i costi. Tranquilli, non mi riferisco a questa felicità farlocca. Mi riferisco alla felicità la cui etimologia deriva dalla parola greca fè, che significa produco, genero, faccio essere, che ha poi dato origine al latino felix, che significa felice nel senso di fertile, fecondo. Quindi felicità ha a che fare con un atto generativo. E quindi?
E quindi ti dico un segreto. Se tu punti alla felicità dei tuoi collaboratori e la misuri per farla crescere costantemente, loro in cambio aumenteranno la loro produttività senza i KPI, senza bisogno che tu sia lì a controllarli tutti i giorni per vedere quello che fanno e senza usare la malefica tecnica del bastone e della carota.
Genetica e felicità
Secondo uno studio condotto da Sonja Dubrominski della Standford University, il 50% del nostro essere felici dipende dalla nostra genetica. Ma il resto dipende per il 10% dalle circostanze di vita e per il 40% dei nostri comportamenti. Dato che le circostanze dipendono dalle scelte che mettiamo in atto, possiamo benissimo affermare che la nostra felicità dipende per il 50% da noi.
Quindi basta concentrarsi su quel 50% e il gioco è fatto. Vero? Invece no. Sarebbe troppo facile. Noi sapiens siamo molto complicati. Ci sono ostacoli che ci bloccano, ostacoli che dipendono solo da noi, ovviamente. Vediamoli.
Quali sono gli ostacoli alla nostra felicità
1. Il percepito è più vero del reale.
Cosa significa questa frase strana? Significa che le nostre eredità biologiche ci portano ad essere maggiormente attratti dalla negatività. Ti faccio subito un esempio.
Tuo figlio a scuola ha preso un 7, un altro 7, un 8, un 6, un 6/7 e infine un 4. Dove viene attratta la tua attenzione? Sul 4.
Gli altri voti…”ok sei bravo! Ma come mai hai preso quattro? Cosa ti ha detto la professoressa? E come mai 4? Ma non hai studiato?” E si parte con il processo. La parte bella viene eliminata in un secondo. Rimane la parte negativa. Fa parte del nostro retaggio primitivo. Concentrarsi sul “negativo” significava spesso salvarsi la vita. “Attenzione, cos’è questo rumore? Fuori dalla grotta c’è forse una belva feroce che ci mangia.” Attenzione a tutti gli elementi negativi, quelli positivi li diamo spesso già per scontati. Quindi, se lavoriamo sul nostro atteggiamento mentale, possiamo cambiare anche il tipo di esperienza emotiva e il percepito che si genera intorno ai fatti e alle circostanze della nostra vita.
2. Ci adattiamo velocemente al piacere.
Cosa significa? Significa che ottenuto un piacere, andiamo immediatamente alla ricerca di un altro. Questo spiega il fallimento della quasi totalità delle tecniche di ricompensa del tipo “bastone e carota” che mettono in atto le aziende. Premio-ricompensa nel tentativo di smuovere le persone verso qualcosa. Nelle aziende si perdono un sacco di energie per impostare sistemi premianti e questi sistemi generalmente creano demotivazione, ansia e stress per chi non ha raggiunto le aspettative e assuefazione per chi le ha raggiunte.
Assuefazione perchè ci si abitua facilmente al piacere. Riceviamo l’aumento di stipendio e dopo un po’ è indifferente. Aumenta la nostra qualità della vita e quindi vogliamo un altro aumento e via così.
Se ci prendiamo cura di ciò che ci ha donato piacere e soddisfazione, questo continuerà a farlo. Coltivando la memoria dell’esperienza, mantenendo traccia e valorizzando quello che già abbiamo fatto, ciò che abbiamo ottenuto e che abbiamo realizzato.
3. La forza di volontà si consuma.
Per rendere una scelta sostenibile nel tempo dobbiamo trasformarla in routine, in una pratica viva. Altrimenti ci esauriamo. Ma cosa vuol dire pratica viva?
Vuol dire una pratica che è ancorata a uno scopo, un significato profondo. Solo così si genera energia. La felicità come proposito, per essere sostenibile nel tempo, va alimentata sempre con costanza e significato. La costanza e la perseveranza da sole non bastano, altrimenti si esauriscono. La forza di volontà si alimenta con il significato, con uno scopo per cui ti trovi a generare energia attraverso le attività che svolgi.
Fermiamoci qui. In questo articolo ti ho parlato di come misurare la felicità dei tuoi dipendenti.
Nel prossimo articolo discuteremo di un altro argomento dei pilastri della scienza, della felicità. Se ti piacciono questi temi, questi argomenti, ascolta il mio podcast, Cincinnatus, su Spotify e condividilo con chi ritieni possa essere utile. E non dimenticare di seguirmi per non perderti i prossimi episodi.
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