Nel precedente articolo abbiamo parlato di come la felicità dipenda al cinquanta percento da aspetti genetici legati al nostro modo di essere, al nostro DNA e per il restante cinquanta percento dipenda da noi. Abbiamo visto, quindi, quali sono i principali ostacoli che ci impediscono di adottare una vita felice.
Oggi parliamo dei quattro pilastri che invece servono per allenare il nostro cinquanta percento, cioè il cinquanta percento che dipende da noi.
Ed eccoci qui, quindi, per rispondere alla domanda: “Che cosa dobbiamo fare in concreto per allenare il cinquanta percento della nostra felicità?”
Questi quattro principi sono i principi in base ai quali le organizzazioni e le aziende che intendono occuparsi della felicità dei propri collaboratori, ridisegnano i propri processi e coltivano comportamenti per aumentare il benessere delle persone.
Andiamo subito ad approfondire i 4 pilastri per allenare la felicità in azienda.
Come allenare la felicità. Pilastro 1
Aumenta la chimica positiva e riduci la chimica negativa
Ogni volta che i nostri bisogni di sicurezza, stabilità, apprezzamento, riconoscimento, appartenenza e connessione sociale sono soddisfatti, il nostro corpo produce una chimica positiva. Ossitocina, dopamina, serotonina, endorfina vengono generati in abbondanza. I comportamenti che attivano questo tipo di chimica sono rispetto, gentilezza, gratitudine, coerenza, compassione, ascolto, empatia, amore, cooperazione, accoglienza, supporto.
Al contrario, invece, ogni volta che ci sentiamo insicuri, non riconosciuti, traditi, non compresi, soli produciamo una chimica negativa. Produciamo ormoni come il cortisolo e adrenalina che sono utili, ma a piccole dosi e se veramente necessario. I comportamenti che attivano questo tipo di chimica sono ingiustizia, soprusi, violenza, aggressività, indifferenza, competizione, separazione, chiusura, giudizio, senso di colpa.
In sintesi, la chimica positiva apre i centri dell’apprendimento della creatività, della memoria e dell’ascolto. La chimica negativa chiude la visione, rende difficile risolvere i problemi e soprattutto fa male alla nostra salute. Uno dei modelli mentali da disinstallare per lavorare in questo ambito, è il famigerato proverbio “prima il dovere e poi il piacere”. Siamo cresciuti inzuppati nella cultura del dovere, del lavora sodo perché “dopo sì che potrai divertirti, rilassarti, essere felice”. Su questo mantra sono state disegnate le vite e le società, educati i bambini e organizzato il mondo del lavoro.
Ma il nostro cervello non funziona così. Ogni volta che la nostra mente registra un successo, viene cambiato il limite che lo definisce. Che cosa è successo se hai preso un buon voto a scuola? Devi prenderne uno migliore. Se frequenti una buona scuola? Vuoi frequentare una migliore. Se ottieni un buon lavoro? Cerchi di averne uno migliore.
Se raggiungi un successo di vendita, ti viene chiesto un obiettivo maggiore. E se la felicità si trova oltre il successo, la tua mente non la troverà mai. Quel che abbiamo fatto come collettività è spingere la felicità oltre l’orizzonte cognitivo. Ciò accade perché pensiamo che dobbiamo avere un successo e solo dopo il successo potremmo essere felici.
Come allenare la felicità. Pilastro 2
Più noi e meno io
Questo concetto passa da comportamenti ego-sistemici a comportamenti eco-sistemici. La scienza ha dimostrato che siamo cablati per la socialità e che non è sopravvissuta la specie più forte, ma quella che ha saputo cooperare meglio. Si chiama capitale sociale e della nostra capacità di costruire relazioni solide e di fiducia nel tempo. Quando i membri di un gruppo si concentrano su comportamenti competitivi, investono la loro energia sulla sfida personale ad arrivare primi. Se invece vivono in un ambiente di scambio e cooperazione, quell’energia viene naturalmente dirottata verso il noi e il raggiungimento di scopi e risultati comuni.
Il fatto che tu possa esprimere il meglio di te dipende da come ti sai relazionare nel gruppo e da come il gruppo si relaziona con te.
Dal capitale sociale dipendono l’espressione del potenziale, il benessere emotivo, la salute del sistema immunitario e neuroendocrino, la resilienza, la capacità di affrontare stress e depressione. Coltiviamo il nostro capitale sociale quando cooperiamo, ci sentiamo coinvolti e coinvolgiamo, diamo supporto e ci sentiamo supportati, ascoltiamo, comunichiamo in modo non violento, mettiamo a disposizione informazioni e siamo gentili. Dedichiamo tempo agli altri, condividiamo, ci divertiamo insieme.
Uno dei modelli mentali da disinstallare è legato alla credenza che “Il più forte vince sempre”.
Come allenare la felicità. Pilastro 3
Più essere e meno fare e avere
Aumenta, l’essere e riduci il fare e l’avere.
In Italia prima di frequentare l’università dedichiamo circa ventimila ore allo studio e nemmeno una di queste ore è impegnata a conoscere, capire e gestire il nostro essere.
Se non impariamo a intercettare i nostri bisogni e valori, cogliere che cosa ci appassiona e può essere coltivato per far fiorire i nostri talenti, se non impariamo a lavorare con la nostra intelligenza emotiva, se non riusciamo a rispondere alla domanda “qual è il mio perché, il mio proposito di vita”, allora sarà difficile fare scelte sagge, coerenti ed efficaci. Il risultato è che ci ammaliamo di più e siamo più infelici.
Abbiamo investito come individui e società le nostre energie per attribuire un significato sproporzionato a quello che facciamo e a quello che avevamo o potevamo avere, per scoprire oggi che quello che c’è fuori di noi rispecchia quello che c’è dentro di noi. E se non curiamo l’essere, precludiamo a noi stessi la possibilità di esprimere il nostro massimo potenziale.
Coltiviamo il nostro essere quando impariamo a utilizzare la nostra energia emotiva, mentale, fisica e spirituale, aumentiamo la consapevolezza sui nostri bisogni e valori. Quando intercettiamo e coltiviamo il nostro proposito di vita o impariamo a identificare i nostri modelli mentali disfunzionali, a sostituirli con abitudini nuove, coerenti. Ancora, quando siamo in grado di allineare le nostre parole e intenzioni con i nostri comportamenti.
Uno dei modelli mentali da disinstallare è quello che ci porta a credere che “conta molto di più ciò che facciamo o che abbiamo rispetto a quello che sentiamo”. Le aziende virtuose creano le condizioni per supportare lo sviluppo personale di tutti i collaboratori.
Come allenare la felicità. Pilastro 4
Più disciplina, meno caos
Non si tratta solo di passare dalla teoria alla pratica, ma da vecchie abitudini a nuove abitudini. La felicità è un muscolo volontario e si allena attraverso pratiche che devono avere qualità specifiche, intenzionali. Quindi dobbiamo sceglierle e ancorarle a uno scopo forte.
Disciplina significa una routine del benessere da coltivare con costanza ogni giorno.
Ma a quali pratiche dobbiamo allenarci? Tutte quelle che trasformano in azioni e comportamenti i tre principi precedenti, quelle che aumentano la produzione di chimica positiva e abbassano quella negativa, quelle che alimentano il nostro capitale sociale, cioè il noi, quelle che aumentano la nostra consapevolezza e lavorano sull’essere.
Premesso che non c’è una ricetta uguale per tutti, quello che posso dirti è che le pratiche più efficaci sono quelle che ancorano la mente al corpo. Quindi coerenza cardiaca, respirazione consapevole, meditazione, yoga, esercizio fisico.
Poiché buona parte della nostra difficoltà, sta nel modo in cui utilizziamo la nostra mente e il corpo ci aiuta a guidarla.
Uno dei modelli mentali da disinstallare è quello del “Sono fatto così e non posso cambiare”. Questo ci fa perdere la speranza nella possibilità che le cose possano evolvere è che noi possiamo prendercene la responsabilità. Si continua a dare importanza al tempo e non all’energia con cui lavoriamo. Le aziende virtuose creano condizioni per generare energia, dando alle persone la libertà di rigenerarsi e strutturano processi capaci di supportare un allenamento continuo del proprio benessere come individui e sistema.
Lascia un commento