Non voglio essere come mio padre. Sento spesso questa frase quando parlo con i figli durante i progetti di passaggio generazionale. In questo articolo parleremo di figli che sono in simbiosi con i genitori, ma allo stesso tempo vogliono staccarsi da essi. Inoltre vedremo come migliorare il rapporto padre-figlio nel passaggio generazionale in azienda.
L’impatto del rapporto padre-figlio nel passaggio generazionale in azienda
Non voglio essere come mio padre è un’affermazione altamente drammatica secondo la mia esperienza. Innanzitutto perché denota un rapporto conflittuale tra genitore e figlio.
Non voglio essere come mio padre. Vuol dire che non c’è stima. Vuol dire che c’è rifiuto. Vuol dire che c’è disprezzo. C’è una volontà di distaccarsi, di interrompere un determinato rapporto. É una frase molto forte. Non voglio essere come te.
Ma qual è la base di questo rapporto? Da che cosa è sostenuto il rapporto padre-figlio in questi casi? Quindi la prima domanda che io pongo ai figli che mi riportano questa affermazione è: <<Perché?>> E qui emergono spesso motivi legati al comportamento del genitore e di conseguenza i giudizi. Lui fa sempre questa cosa qui, lui si comporta in questo modo, lui mi fa sentire così. Lui mi dice questo, lui mi dice quello. È un atteggiamento molto, molto critico nei confronti del comportamento del genitore, dei suoi valori, del suo modo di essere.
Perché rischi di diventare come tuo padre
Ma l’elemento più drammatico dell’affermazione non voglio essere come te è dovuto al fatto che questa affermazione è preludio per diventare esattamente come il padre. È il primo passo dentro lo stesso percorso in cui si trova il padre. Lo stesso approccio.
Cosa intendo dire? Intendo dire che a furia di dire che non vuoi diventare come tuo padre, alla fine poi diventerai come lui. E questo perché? Perché chi stiamo guardando quando affermiamo: <<Io non voglio essere come te?>> Ma pensaci un attimo. Io dico non voglio essere come te perché sto guardando esattamente te. Dove è concentrata la mia attenzione quando dico io non voglio essere come te? Esattamente su di te, esattamente sulla persona che non voglio essere, esattamente sulla persona che non voglio imitare.
Accade quindi che continuando a guardare costantemente un comportamento di qualcuno, finiamo per interiorizzarlo fino a farlo diventare nostro. E nel momento in cui le circostanze lo dovessero permettere, quel comportamento diventerà automaticamente attivo e caratterizzerà anche il nostro modo di essere.
È pazzesco. A furia di guardare qualcuno, a furia di guardare il genitore che non mi piace, io assorbo ancora di più da lui. Senza accorgermi interiorizzo i suoi comportamenti e poi divento come lui. Noi abbiamo imparato a interagire con il mondo imitando i nostri genitori. Ma continuiamo a farlo anche quando diventiamo adulti.
Perché continuiamo a osservare i genitori?
Ma perché osserviamo così intensamente i genitori invece di guardare avanti verso il nostro futuro? Perché siamo in attesa di ciò che non ci hanno dato, ma di cui noi abbiamo estremo bisogno. Siamo in attesa che loro saldino il debito che hanno nei nostri confronti. Debito, però, di cui loro sono ignari e quindi non salderanno mai.
Quante volte mi capita di incontrare figli ormai adulti che attendono ancora la benedizione, l’approvazione da parte dei genitori, il loro riconoscimento, cosa che spesso per certi versi è già avvenuta, ma non nella forma attesa del figlio, il quale attende e continua a chiedere e continua a pretendere e continua ad aspettare, osservando e criticando, ma senza rendersi conto che così facendo egli avanza nella vita guardando all’indietro con una sola logica drammatica conseguenza.
Non andare da nessuna parte.
Più perseveri nel guardare tuo padre, attendendo che lui ti dia la sua benedizione, attendendo che ti dia la sua approvazione, continuando al contempo a criticarlo, più è facile che tu diventi esattamente come lui.
Come migliorare il rapporto padre-figlio nel passaggio generazionale in azienda. Un esercizio
E come si fa allora a uscire da questa trappola? C’è un semplice esercizio che adesso ti consiglio. Lo riporto al maschile tra padre e figlio, ma può essere espresso da chiunque nei confronti di uno o entrambi i genitori.
Mettiti comodo da solo. Elimina le fonti di disturbo. Chiudi gli occhi e visualizza il volto di tuo padre e digli: <<Caro papà, grazie per tutto ciò che mi hai dato. Grazie per la vita, innanzitutto, per tutto ciò che hai potuto darmi, ti ringrazio dal profondo del mio cuore>>. Fai una pausa. Respira. Senti il sentimento di gratitudine dentro di te.
Poi riprendi a guardarlo nel volto e digli <<Per tutto ciò che non hai potuto darmi, faccio da me e vado per la mia strada>>
Rimani raccolto per qualche secondo e poi apri gli occhi. Farai questo esercizio tutti i giorni per una settimana. Questo esercizio si chiama “affrancamento” ed è il passo chiave per passare dalla personalità di bambino a quella di adulto.
Sì, perchè il problema di rapporto tra padre e figlio risiede principalmente nella difficoltà per il figlio di cambiare personalità: passare cioè da quella di bambino a quella di adulto. L’affrancamento è il primo passo.
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